Da Pathmos a Salamanca

   Elaborare una scheda personale di Milo Temesvar non è una cosa facile; né è facile stabilire esattamente il campo di interessi di una intelligenza cosi disordinata, inquietante e imprevedibile. Durante un recente soggiorno in Argentina si impose all'attenzione degli studiosi con una memoria su Le fonti bibliografiche di J. L. Borges, che apparve filologicamente decisiva sino a che non fu confutata da un libello anonimo dal titolo Sull'uso degli specchi nel gioco degli scacchi. 
   Naturalmente l'autore di questo pamphlet era lo stesso Temesvar che perveniva così a confondere le idee ai propri lettori. D'altra parte il suo soggiorno in Argentina rappresentava un episodio pressoché casuale: Milo Temesvar, albanese, aveva lasciato il proprio Paese, accusato di deviazionismo di sinistra, e si era ritirato in Unione Sovietica dove aveva condotto studi sulle macchine pensanti, tentando di ridurre, attraverso analisi informazionali, i valori poetici a circuiti logici riproducibili da un cervello elettronico fornito di opportune istruzioni. Emigrato negli Stati Uniti, vi era rimasto per alcuni mesi come lettore di lingue slave presso la Rutgers University; prima di lasciare gli Stati (pare per pesanti pressioni del F.B.I.), ebbe il tempo di pubblicare presso la Seven Types Press un saggio estremamente originale, irritante e provocatorio, dal titolo The Pathmos Sellers, che a un dipresso potrebbe essere tradotto (se, come pare, ne acquisterà i diritti un editore italiano) I venditori di Apocalisse.
   The Pathmos Sellers è, a modo proprio, una inchiesta sociologica: a modo proprio perché propone delle succulente ipotesi interpretative, senza offrire alcun elemento di verifica sul campo, ma in tale senso Temesvar si dimostra coerente con le idee che a suo tempo aveva esposte in una memoria all'Accademia Sovietica delle Scienze, dal titolo La verifica come falsificazione dell'ipotesi.
   Qual è la tesi di The Pathmos Sellers? L'indagine parte da un problema più volte agitato dalla pubblicistica sociologica, e che viene volgarmente chiamato "il problema dell'inetto" e cioè il problema della riqualificazione dei ruoli in una società completamente automatizzata o fortemente industrializzata.
   Temesvar parte da un esempio elementare, e cioè dal momento in cui in una città, sostituendo i tram con la metropolitana, ci si trova a dover reimpiegare i tramvieri. Quelli che non risultano addestrabili come conduttori di vagoni del Metro (perché i loro riflessi non rispondono più alle nuove esigenze, o perché non riescono ad adattarsi alle nuove operazioni tecniche), debbono essere restituiti alla società come elementi non-integrati, potenzialmente disoccupati. Con una buona organizzazione di assistenza sociale, il neo-disoccupato può però individuare un altro orizzonte di attività in cui ricoprire un nuovo ruolo.
   C'è invece, osserva Temesvar, una categoria di lavoratori per i quali non esiste un ruolo alternativo a quello che ricoprono: e sono gli intellettuali, in particolare gli umanisti che si qualificano come "tecnici della Totalità" (o dell'Umanità, intesa come totalità dei valori). Tuttavia proprio costoro, a cui la società non è in grado di fornire il minimo aiuto, poiché in una certa misura sono essi gli addestratori della società, il giorno in cui la loro funzione risultasse inadeguata al contesto socio-culturale, hanno una eccitante alternativa. Grazie alle loro doti di immaginazione e alle loro capacità culturali, possono sempre "inventare" nuovi tipi di attività che abbiano tutta l'apparenza della funzionalità.
   Per chiarire il problema Temesvar elabora un modello astratto, i cui riferimenti storici assumono valore allegorico, ed è il modello "del dotto di Salamanca". Il dotto di Salamanca, dice Temesvar, è un esperto di astronomia e geografia, conosce tutto quello che dicono i testi antichi circa il modello astronomico tolemaico e ha nozioni culturali che gli permettono di insegnare come siano le varie parti del mondo, quali genti le abitino, quali strade occorra percorrere per giungervi. Questa somma di conoscenze permette al dotto di Salamanca di ottenere un posto nell'Università omonima e ricche prebende dal Re di Spagna.
Improvvisamente si presenta davanti ai dotti di Salamanca Cristoforo Colombo, che afferma nuove nozioni circa la forma e le dimensioni della Terra e avanza l'ipotesi che sia possibile "buscar el Levante por el Ponente". Naturalmente il dotto di Salamanca confuta Colombo. Colombo parte ugualmente e scopre l'America. Da questo punto il volto della Terra appare mutato, tutti i libri di astronomia e di geografia sino ad allora esistenti perdono validità, le nozioni di cui il dotto era il venditore e il diffusore autorizzato, non hanno più valore. I nuovi tecnici del globo sono i navigatori, gli esploratori, o i dotti capaci di adeguarsi alla nuova visione delle cose. Al dotto di Salamanca — se vuole sopravvivere — a questo punto si propongono due alternative: o sottomettersi ad un corso di addestramento per acquisire sufficienti conoscenze tali da permettergli di essere maestro di cultura e di vita nel mutato orizzonte di rapporti, o costituire le basi di una nuova scienza, che consista nel sostenere la negatività morale e culturale della scoperta dell'America. In questa disciplina egli potrebbe assurgere a dignità di esperto e diventare nuovamente maestro di vita per migliaia di discepoli.
   L'America esiste, è vero, ma è male che esista, e gravi danni ne conseguiranno per la comunità umana. Il dotto di Salamanca, costituendosi come esperto del "dove andremo a finire", ritrova un ruolo nel contesto sociale, individua gli organismi politici, religiosi ed economici che possano trar giovamento dalla sua propaganda ideologica e riacquista, in parole volgari, il posto e le prebende. Temesvar lo designa, in questo suo nuovo ruolo, come "venditore di Apocalisse".
   L'impostazione filosofica del saggio di Temesvar è molto chiara: il suo studio sulla genesi dei ruoli culturali fittizi nelle società tiene evidentemente presente l'importanza che hanno le determinazioni economiche sulla formazione degli atteggiamenti culturali, quelli profetico-deprecatori in particolare. D'altra parte egli non esita a trasportare il suo modello nel vivo della situazione presente. Viviamo in un universo culturale in pieno mutamento, egli dice, in cui la frontiera tra lo spirituale e il materiale, tra valori tecnici e valori umanistici si sta facendo sempre più esile. Non perché i valori tecnici si sovrappongano ai valori umani, ma perché i valori umani di domani andranno individuati attraverso altri parametri, e passando attraverso alle nuove situazioni istituite dal progresso tecnologico.
   Una discussione filosofica sull'uomo come capolavoro del creato a causa delle sue capacità di deduzione logica, oggi ha perso ogni significato, dal momento che le stesse capacità sono dimostrate da un buon cervello elettronico. Non è che perda di valore e di senso un discorso sull'uomo: solo che l'uomo non andrà più visto come animale sillogizzante, ma come animale capace di costruire macchine sillogizzanti e di porsi nuovi problemi (inediti) circa il loro uso. Cambia orizzonte di problemi: bisogna ritrovare l'uomo alcuni milioni di chilometri più in là. Questo avviene per la filosofia come per la critica d'arte, per la morale come per l'economia e la religione. E tutto ciò richiede evidentemente all'intellettuale un corso di riassestamento, un atto di umiltà, una capacità di sapersi mettere a scuola.
   A certuni, la sprovvedutezza o la tarda età non consentono più questa decisione. E si assiste allora, di fronte al terrore di perdere una funzione privilegiata, alla invenzione di una funzione fittizia, alla costituzione di nuovi ruoli. Si hanno allora i tecnici dell'Apocalisse, specializzati nel dimostrare che il nuovo orizzonte di problemi è radicalmente equivoco, antiumano, e che occorre rifarsi al culto dei valori di un tempo per garantire all'umanità la sopravvivenza. Cosi facendo il "venditore di Apocalisse" — osserva Temesvar — ha comunque risolto un problema: quello della propria sopravvivenza privata. 
(Eco, 1964)