giovedì 17 marzo 2011

Tony Levin a Buenos Aires

Qui e anche qui
(dall'inviato El Gloria)

domenica 13 marzo 2011

EBBENE SI' CONTINUA.... (b)

Dei due individui, al momento, non ho memoria. Tuttavia secondo me le ore erano quattro, non cinque, novità che posizionerei un po' più avanti, verso il liceo. O forse qualche giorno al settimana, non tutti, alle medie.


Il Refini, minacciava in continuazione di appenderci fuori dalla finestra. Minaccia che in terza aveva un minimo effetto. Già meno in quarta. Per nulla in quinta, quando oramai la maggior parte di noi era più alta di lui.
Egli inoltre disponeva di una Cortina azzurrina, carta da zucchero, direi; vettura che ritengo avesse un certo successo con quella generazione di insegnanti, giacché la mia signora dice averne avuta una anche il suocero (sebbene non se ne vanti, anzi, e faccia di tutto per tenerlo nascosto, la signora intendo).


Di sicuro anni dopo, direi verso il 20 MNC (ritengo utile in questa vicenda non usare il calendario gregoriano ma stabilire come anno zero la partenza di Milo da Milano per Roma: quindi 20 MNC è l'anno 20 di Milo Nella Capitale; il 1967 gregoriano dovrebbe essere a occhio e croce l'anno 5 MAM) per un periodo, Piazza Leonardo è stata luogo molto cosmopolita, nel quale era facile trovare sostanze di varia natura. Ma la frequentavo poco e non posso dire se Art e Don fossero in zona

APPENDICE AL POST PRECEDENTE, PUR GODENDO DI UNA SUA AUTONOMIA TEMATICA

In effetti in quegli anni non mancarono le svolte epocali. Un avvenimento al quale non possiamo non riconoscere una sua epocalità, fu l'invasione dei tupperware. Coetanei ricorderanno che insospettabili mamme di compagni di classe, di botto, risultarono essere arruolate come venditrici di contenitori di plastica per alimenti e presero a organizzare incontri dimostrativi nelle loro case; qualcosa del genere avvenne alcuni anni dopo quando prese piede improvvisamente un'epidemia che portò conseguenze non piacevoli: molte conoscenti di sesso femminile scoprirono di essere rappresentanti Avon.

Però secondo me, quanto ad impatto devastante sulle nostre esistenze, niente a che vedere con il caso dei tupperware. Certo, in seguito c'è stato fornito di peggio: nella seconda metà degli anni '70, per esempio, la truffa della riscoperta del privato, il cosiddetto riflusso... va bè, niente polemiche e torniamo ai nostri contenitori che col tempo si sono evoluti fino a diventare di vetro, ma sempre col loro tappo di plastica. Negli anni successivi tanti altri produttori si cimentarono ma, per estensione, vennero identificati come tupperware anche contenitori simili di altre marche.
Noi ragazzini di quell'epoca sapevamo benissimo che si diceva TAPPER-UER, figuriamoci, alcuni già prendevano lezioni di inglese. Ma dicevamo lo stesso TUPPER-UARE, scandendo bene, e magari con un ghigno, semplicemente perchè era più comico; ma questa, adesso possiamo dirlo, in alcuni singoli casi, fu sintomo di una precoce personalità eversiva.

(Un post scritto in campagna, di poca grinta e un po' rattrappito dal freddo - ed anche il regime alimentare non aiuta).



P.S. comunque ho deciso, CONTINUA cambia nome e si chiamerà MACERIE.

EBBENE SI', CONTINUA...

Qualche giorno in campagna, a godere del freddo, assolato e deinternettizzato, sano e ricostituente, di quel versante delle Marche, ed eccomi di nuovo nella Capitale, temendo l'insano e deprimente inizio della primavera, già foriera del risveglio delle estive tendenze alla caciaroneria di una prevalente minoranza di cittadini. (*) L' intervallo campagnolo, fra le altre cose, mi ha permesso di recuperare il numero di Musica Jazz al quale ho accennato all'inizio di questa cosa che ho chiamato CONTINUA (a proposito, è un nome veramente brutto, sto pensando di cambiarlo). Ecco la pagina alla quale mi riferivo.


Bene.
Bien.
Well.

Visto che nelle discografie dei due protagonisti non ho individuato registrazioni che potessero indicare se si trovassero effettivamente da un'altra parte, non c'è ragione per non datare al maggio del '67 quel dialogo fra Art Blakey e Don Byas in "un parco di Milano". Immagino che probabilmente esiste qualche posto che si chiama Milano anche negli USA o in qualche altra parte del globo, ma ciò non mi impedisce di supporre che quel "parco di Milano" fosse, chessò, Piazza Leonardo Da Vinci.



In quell'epoca frequentavo con un certo successo le elementari (dovevo essere in quarta, o giù di lì) presso la scuola Leonardo da Vinci, i cui portoni si aprivano sull'ampia piazza omonima. I primi due anni delle elementari per maestra avemmo "la" Belloni, che ricordo come signora un pò in carne e dall'atteggiamente tendenzialmente materno. Veniva da Lodi, se non erro.
In terza fummo investiti dalla necessità di una crescita responsabilizzante, e non solo per il passaggio dal grembiulino nero alla divisa grigiastra, ma soprattutto per l'avvicendamento alla guida della classe del nuovo maestro, "il" Refini. La nuova gestione era caratterizzata da una impostazione un po' più rude del rapporto maestro-studente; essere considerati "ometti", così, di punto in bianco, fu un'esperienza a cui alcuni di noi non erano preparati; altri, invece, ne furono entusiasti, ed esaltati.

"Il" Refini era aretino, e, in quanto tale, indiscutibile depositario del corretto utilizzo della lingua italiana; in particolare non nascondeva di aborrire quella pronuncia vagamente aperta delle vocali che segnava la parlata di noi studentelli meneghini.

Insomma, cambiamenti che, per usare un termine che ai giorni nostri va forte, andrebbero definiti "epocali".





Si esce di scuola alla fine della quinta ora e ci si sparpaglia; fuori parecchi genitori che aspettano; io sono fra quelli che, abitando non tanto lontano, generalmente tornano a casa a piedi, o col tram se fa brutto; in entrambi i casi non ho bisogno di attraversare completamente la piazza, ed è forse per questa ragione che non noto quei due signori di colore, lo smilzo, e quello un po' più vecchio ma soprattutto invecchiato, che discutono percorrendo un vialetto; l'uno con incedere dinoccolato e nervoso, l'altro più appesantito.

Sicuramente se li avessi incrociati mi sarebbero rimasti impressi e l'avrei raccontato in giro: Milano non era poi così cosmopolita, in quegli anni. Ma forse c'è qualcuno, da qualche parte, che ricorda qualcosa.

(*) Un ritorno vieppiù intriso di incazzitudine, dato che mentre andiamo via noi, in paese arriva la tappa della Tirreno-Adriatico. Ma non potevano dirlo prima che mi organizzavo diversamente?