sabato 20 febbraio 2010

una certa età

domani è il compleanno di V

se ne era ricordata l'altra V di qui

le donne ricordano sempre

me lo aveva detto qualche giorno fa e me l'ero già dimenticato
è una cosa che mi riesce facilmente
se qualcosa mi riesce facile, perchè non farlo?

dimenticarti le date?
"lascia, mi incarico io di dimenticare tutte le date, tu occupati del resto"

il fatto è che sto cercando di arrivare a un livello superiore
cercare di dimenticarmi di ciò che ho dimenticato

questo è il Nirvana

è facile dire
"mi sono dimenticato di questo"
il difficile è dimenticarsi di ciò che si era dimenticato
"cosa?"
"boh"

interessante
certo, ciò che è torturante è ricordarsi sempre di essersi deimenticato di qualcosa
invece dimenticarsi delle dimenticanze è raggiungere il nulla assoluto
convertirsi in un figlio di Budda

mentre prima eri un figlio del dubbio (*)

si, certo che quello stato, è l'ascensione ad una mentalità superiore prima di una "certa età"
passata quella "certa età" diventi semplicemente un vecchio rimbambito che si dimentica anche di cosa si è dimenticato

quindi,
è già troppo tardi per farlo passare per un obiettivo

bene, hai visto che a partire dal secolo XX, la differenza fra una opera d'arte e una cagata, è semplicemente il concetto
finchè appare assolutamente chiaro che si tratta di CONCETTO, tutto sarà giustificabile

cioè
è meglio chiarire che sono
CONCETTUALMENTE RIMBAMBITO
e non semplicemente RIMBAMBITO

esatto
dimenticanze concettuali


(*) intraducibile gioco di assonanze fra hijo de buda, hijo de duda e hijo de puta

giovedì 18 febbraio 2010

Nulla N°1


martedì 16 febbraio 2010

L'intervento del maligno nella quotidianità.

Ho lavorato più di un quarto di secolo nell'informatica, e non escludo che ciò possa avvenire ancora, se in questo paese dovesse cambiare un certo atteggiamento mentale nei confronti della terza età. Ma questo è un altro discorso.
L'esperienza in tale tipo di lavoro, oltre alle deformazioni e/o mostruosità che inevitabilmente si ingenerano sia sul fisico che sulla psiche degli informatici, provoca anche effetti positivi su alcune attitudini umane quali l'approccio ai problemi e la risoluzione pratica dei medesimi. Divagazione: molti potrebbero affermare che SI DIVENTA informatici PERCHE' si nasce con una certa forma mentis, e non viceversa; ma la verità spesso è nel mezzo: credo che l'informatica, alla fin fine, non faccia che AGGRAVARE certe caratteristiche già presenti fin dall'infanzia in alcuni soggetti. Comunque, per tornare a noi, adottare la logica booleana non serve solo nella programmazione, ma forse è quanto di più razionale si possa applicare nell'affrontare i piccoli problemi quotidiani; così come, di fronte all'esecuzione di un qualunque compito costituito da più fasi, è buona norma disegnarsi mentalmente un diagramma di flusso (cosa che comunque molti fanno inconsapevolmente), o addirittura su carta nei casi più difficili. Bene, sto affermando che, VOLENDO, sono in grado di affrontare un problema in maniera concreta, ragionata.
Ma cosa c'entra il maligno in tutto questo?
Esperienze ormai consolidate mi hanno convinto che vi sono oggetti, e soprattutto azioni legate a tali oggetti, che sono spesso interessati da forze oscure, circonfusi di negatività più o meno palesi. Tanto da riuscire ad annullare, per quanto mi riguarda, una naturale predisposizione alla razionalità. Ovviamente non si può generalizzare: le stesse entità non hanno la stessa influenza su tutti, o meglio, variano a seconda delle persone. Per quanto mi concerne, esiste un'attività assolutamente esemplare di tutto ciò:

L'ETERNA LOTTA TRA L'UOMO E LA CINGHIA DELLA TAPPARELLA DA SOSTITUIRE.
(L'uomo sono io, la cinghia della tapparella è la cinghia della tapparella).
Abito in un appartamento con una insopportabile quantità di finestre e porte-finestre, e quindi con un pari numero di tapparelle. L'eventualità che si rompano le cinghie atte al sollevamento delle medesime è quindi estremamente alta, in media una al mese, con periodi di tranquillità ed altri in cui tali eventi si concentrano nel giro di pochi giorni; assieme ad altre attività paranormali collegate, come la rottura del gancetto che àncora la tapparella al rullo sovrastante, oppure l'uscita di sede della cinghia medesima che si annoda inestricabilmente intorno alla molla incassata nel muro, provocando il blocco di tutto il sistema. Si potrebbe pensare che, dedicandomi quindi con una certa frequenza a questi lavoretti che una mente semplice potrebbe definire "di manutenzione", sia giunto al punto di affrontare con scioltezza e serenità tali compiti.
NO.
La logica che sottende a questa attività mi risulta ingovernabile. Ultimamente ho applicato anche l'approccio "a oggetti": analizzo le componenti del problema stabilendone le proprietà e le funzioni. Niente. Impossibilità assoluta di visualizzarne mentalmente il comportamento meccanico. Perdita dell'autocontrollo. Rabbiosi ma confusi tentativi di risolvere il problema il prima possibile per sfuggire all'atmosfera inquietante che, mano a mano, si diffonde inarrestabile. Approccio sbagliato ma inevitabile che porta a frequenti errori nelle sequenza delle operazioni, con inevitabile ripetizione doppia o tripla. A volte provocandomi lievi danni fisici, mentre sulla scala infilo le mani nello stretto spazio attraverso cui devo agganciare il capo della cinghia all'uncino della ruota metallica solidale al rullo, oppure mentre sforzo la rotella contenente la molla per metterla in tensione, essa diabolicamente mi sfugge e si svolge violentemente, saltellando in giro e producendo un suono che è a metà tra un ruggito ed un ghigno beffardo, ma metallico.
Bene. Penso che tutti quanti abbiamo delle bestie nere nell'armadio, o degli incubi nel cassetto, se preferite. Sono convinto che questi casi sono la prova della presenza di qualcosa di subdolo, di sardonico nella vita di tutti i giorni.
Il problema è: credere in una seppur limitata presenza del maligno vuol dire essere credenti? equivale cioè ad accettare automaticamente anche il contraltare, ciò che molti chiamano Dio?
Insomma, la Fede è bifronte?

lunedì 15 febbraio 2010

Dolores Morales - I lunedì della Contessa Barthory

Alcuni dei sopravvissuti sanno che non mento nell'affermare che c'è stato un tempo in cui Internet non esisteva.
Cominciavano da poco ad occupare un piccolo spazio i calcolatori, che spaventavano con lettere color ambra in certi casi e schermi molto azzurrati in altri.
So che sembra incredibile, però, lo giuro su dio, che era così, e che la razza umana riusciva a sussistere.
Da quel momento erano apparsi degli apparecchietti dal nome irricordabile che si assicurava potessero mettere in contatto due esseri, non importa quanto lontano, facendo a meno della posta tradizionale e dei suoi ritardi e senza aver bisogno della simultaneità oraria fra i due comunicandi come col telefono.
L'apparecchio era una novità tale che c'era carenza di assistenza agli utenti.

Finchè apparve quell'annuncio sul muro, in cui cercavano possessori di tale artefatto.

Sarebbe stata organizzata una riunione in quell'antico teatro con poltrone art decó dell'edificio di Studi geologici.

Io guardavo molto le poltrone in legno, con base di ferro fuso, le assi del pavimento, il sipario in velluto cremisi, guardavo assorta tutto il contorno perché non capivo niente di quello che diceva l'uomo che abitava quell'ora sullo scenario.
Parlò per un po' di cose inintelligibili dove si supponeva che l'apparecchio era il protagonista, assieme ad alcuni spagnoli che erano arrivati per assisterlo nella creazione di un "nodo" (parola che ricordo chissà per quale oscuro meccanismo cerebrale), del nome dell'osservatorio Pierre Augier e nient'altro.
Il resto era un bla bla, rumoroso e sconosciuto che mi facevo concentrare con più devozione sulle odanature dei soffitti che sulle proteste di un'occasionale signora che mi serviva da accompagnatrice per l'evento, por conoscerci schiettamente e perché era anche lei proprietaria del marchingegno.

Quando finalmente tutti quanti si alzarono e cominciarono ad uscire, aspettando il vuoto della fila per inserirmi, una voce commentò chiaramente "e l'animale?"... (1)
Certo, dissi alla mia compagna, guardandola fissa, della mucca non si è detto niente di comprensibile. Lei mi guardò con quell'espressione tipica che corrisponde a "non ho sentito bene quello che mi hai detto".
Ci salutammo e per me la faccenda della riunione era finita.


(1) si allude ad una parte di un'opera dei Les Luthiers dove si affrontano due cantastorie per l'esecuzione di una canzone (payada) sulla vacca, uno dei due dimentica di nominarla, l'altro cantastorie allora gli chiede dell'animale. Come riferimento al fatto che il modem non era mai stato nominato e si parlava di lui con giri di parole.